
La sfida invisibile del nostro tempo.
"Essere UMANO o essere URBANO?".
Suona come una scelta ma, in realtà, è una tensione costante, una dicotomia che dice molto del mio lavoro fatto di radici e visioni, identità e adattamento, territorio e vocazione… non una scelta ma una “lotta silenziosa e quotidiana… che ci attraversa tutti”.
“Essere UMANO”.
È il centro… il battito.
La verità nuda, con le sue emozioni, le sue paure, i suoi sogni non ancora raccontati.
Nel tuo lavoro, ma anche nel mio (tra coaching umanistico, ikigai, identità e storytelling), l’essere umano è il punto di partenza: è la voce che va ascoltata prima di qualsiasi strategia, il “perché” profondo che non si può disegnare su un canvas senza prima averlo incontrato “guardandolo negli occhi”.
“Essere URBANO”.
È il contesto… la cornice.
Il rumore, le intersezioni, le contaminazioni.
“Urbano” è ciò che accade fuori, nella velocità delle città, nelle regole del mercato, nei trend, nei social, nei negozi, negli showroom.
Nel mio (tuo) lavoro, l’essere urbano è il “campo da gioco”: quello in cui le identità devono saper stare in piedi, comunicare, posizionarsi, distinguersi… emergere (con la propria “proposta di gioco”, con le proprie individualità, lee proprie intuizioni).
È il luogo in cui l’umano si fa prodotto, servizio, narrazione… ricordo (impresso nella mente).
La professione come PONTE.
Tu stai in mezzo.
Costruisci (continuamente e naturalmente) ponti tra l’umano e l’urbano: aiuti l’uno a farsi capire dall’altro, aiuti l’umano ad abitare il mondo (urbano) senza perdere la sua essenza... aiuti l’urbano a non diventare sterile, mantenendo un “cuore pulsante” dentro ogni progetto, ogni brand, ogni luogo.
Le analogie:
- Umano è l’identità. Urbano è il posizionamento;
- Umano è il perché. Urbano è il come e il dove;
- Umano è ascolto. Urbano è azione;
- Umano è dialetto. Urbano è codice;
- Umano è il cliente che ha un problema. Urbano è il mercato che ha bisogno di una risposta.
Per questo…
"Scritte sui muri che sembrano urlare e graffiti che vivono davanti ai miei occhi… frasi scritte veloci che, seppur incomplete, riesco a terminare, a capirne la portata e viverne il “trasporto emotivo”.
Troppo spesso penso di imparare più da tutto questo che dai telegiornali.
Il sentiment (s)corre per quelle tele ruvide e fredde, quelle strade imperfette… magari davanti a quel cinema abbandonato o quella Scuola dimenticata (ma occupata).
Lì ho capito che non basta più progettare… occorre avere il coraggio di guardare e ritrovare non un luogo (od un logo) ma la propria identità, consapevoli che il nostro lavoro non è quello di scegliere ma allenare l’umano a “sopravvivere” nell’urbano e, al tempo stesso, insegnare all’urbano “a ricordarsi di essere umano”.
Navigare “tra i due”, interpretare con rispetto, coraggio e con una storia da raccontare.
E lo facciamo tutti, ciascuno con il proprio quotidiano e con il proprio lavoro… ogni giorno.
Non è forse così?!
